lunedì 5 ottobre 2015

SUCCEDEVA A VASTO

Emerge un dato molto empirico, evidente, vale a dire, all’epoca, la compattezza interna ai singoli partiti, quelli, per intenderci, della cosiddetta prima repubblica, con i loro statuti, il collante dell’ideologia, la struttura collaudata, gli specifici interessi da tutelare, il richiamo a parole d’ordine di facile presa sui militanti e sull’elettorato. E poi c’erano i probi viri, quelli che implacabilmente intervenivano a rimuovere fatti, sempre isolati, che, a torto o a ragione, erano intesi quali menomazioni, fosse solo dell’immagine, a danno della sezione locale (si pensi alla vicenda che vide protagonista Sante Petrocelli, Pci). Il partito, quindi, “teneva”, raramente si assisteva a cambi di casacca e l’azione amministrativa era concentrata sul da farsi, non, come siamo abituati oggi, sul recupero dei fuoriusciti che ti fanno venir meno la maggioranza.

Eppure, anche allora non mancavano rivolgimenti. Per noi bambini (siamo nei primi anni Sessanta), la Domus Pacis coincideva col nostro asilo, dove, muniti di cestino, tipo Cappuccetto Rosso (non esistevano gli zainetti), andavamo a giocare con le maestre. Non potevamo ovviamente percepire come don Felice Piccirilli, parroco di San Giuseppe, avesse avviato, con quella struttura, un qualcosa destinato a rimanere nel tempo. In quell’ambiente, così ricco di fermenti, si sviluppa un laboratorio politico che porterà alla formazione della lista “Il Faro”. Questo particolare momento della nostra storia è analizzato molto bene da Costantino Felice nella sua ultima fatica “Vasto – Storia di una città” (Donzelli editore), un’opera a beneficio di chi voglia individuare la trama dei fatti.

Nasce quindi “Il Faro”, per la verità non semplice lista civica, ma anche movimento civico, con a capo “don” Silvio Ciccarone: la Dc, da cui provenivano i nuovi protagonisti della vita politica cittadina (anche se, va aggiunto, Ciccarone non era iscritto al partito), pagava la sua incapacità di interpretare le istanze di un tessuto sociale che passava dal mondo agricolo a quello industriale. Di più, c’era una forte istanza di carattere morale, sulla quale bisognerebbe riflettere, che imputava al partito cattolico un deficit etico proprio in riferimento alla dottrina cristiana. D’altra parte, il parroco di San Giuseppe “era scontento di come andavano le cose” riferisce Felice (op. cit.) riportando le parole di don Silvio. Non possiamo dagli torto. Anche oggi. 

Giacinto Zappacosta

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