L’ultimo, in ordine di
tempo, giammai d’importanza, si chiama Nuovo
Centro-destra e fa capo ad Angelino
Alfano. Si tratta dell’ala filo-poltronica, e radicalmente
filo-governativa, in anabasi dal berlusconismo, quelli che fanno fatica a stare
all’opposizione (che, sono d’accordo, è una noia mortale), politici, in buona
sostanza, adusi alla ribalta mediatica dal comodo posizionamento ministeriale.
Per inciso, e molto sommessamente, l’Ncd è l’ulteriore riprova, plastica,
storica, di un fatto ormai incontrovertibile, vale a dire la cronica,
insuperabile incapacità di Berlusconi nello scegliersi gli amici. Il delfino che diventa avversario, o
forse nemico: è tutto dire. A meno che, come qualcuno ha ipotizzato, non siamo
in presenza di un colpo di teatro (dell’assurdo o dell’orrore, non saprei) che,
nato dalla testa di Berlusconi nei panni di Minerva, ha prodotto un partito
satellite di FI, bigemino rispetto a quest’ultimo. Insomma, e saremmo all’invenzione
del secolo, si tratterebbe di “azzurri” governativi, truppe ausiliare degli
“azzurri” ora all’opposizione. Speriamo non sia vero. Intanto una cosa fa
rabbrividire, almeno quelli (siamo in pochi) che credono nella correttezza
istituzionale e nel rispetto che si deve al popolo sovrano. Oppure, se si
preferisce, alla parola data. Ora, la
diaspora alfaniana non è stata consacrata né legittimata dagli elettori,
ma, come si sa, nasce da una manovra di palazzo. Il discorso sarebbe semplice,
apodittico: se vuoi cambiare partito, o fondarne un altro, ti dimetti da
parlamentare e, da semplice cittadino, ricominci daccapo. Troppo facile, però,
troppo limpido per una politica che ha smarrito se stessa.
Giacinto Zappacosta
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