sabato 21 giugno 2014

Messina e Civitella del Tronto. Poi, Fenestrelle…


Mentre Gaeta diveniva una prigione, altre due fortezze borboniche continuarono le ostilità: Messina, che avrebbe ammainato la bandiera biancogigliata (ma senza consegnarla) il 20 marzo. Per i combattenti si aprirono varie strade: darsi al brigantaggio e cercare di restaurare con la guerriglia quel regno che non erano stati capaci di difendere con la guerra regolare; passare al nemico oppure affrontare la carcerazione, magari nel forte di Fenestrelle, praticamente un gulag, per le condizioni terribili in cui i prigionieri venivano tenuti. Almeno 24.000 deportati borbonici (ma si parla di 40.000) vennero trattati come bestie: senza pagliericci, senza coperte, senza luce; addirittura, in una zona dove la temperatura d’inverno era quasi sempre sotto lo zero, vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare i prigionieri col freddo. La liberazione avveniva perlopiù con la morte e, non sapendo dove seppellire il gran numero di deceduti, si procedeva a discioglierli nella calce viva in una grande vasca: una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Non a caso si è parlato dei “lager dei Savoia”: del resto, una scritta accoglieva i prigionieri ammonendo “Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce” (in tedesco suonerebbe “Arbeit macht frei”).

Luigi Vinciguerra

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